In the Shadow of the Sun è un racconto scritto da Sarah Pine che si è classificato al primo posto in un contest organizzato da Blizzard Entertainment ed il cui protagonista è Lor'themar Theron, il reggente di Quel'Thalas. Nell'arco delle prossime settimane ve ne proporremo la traduzione integrale in Italiano, realizzata da Xeandra, divisa in tre parti a causa della non indifferente lunghezza complessiva del testo. Trovate il racconto in Inglese a questo indirizzo.

In the Shadow of the Sun - Parte prima

Lor'themar fissò la lettera sulla sua scrivania. Il sigillo rotto della busta brillava sinistramente e sembrava, in qualche modo, riflettere il suo sguardo attraverso la cupa cera viola. Sospirò e sollevò la pergamena di nuovo, ignorando la ridicola introduzione, preparata, palesemente, per adulare. Era sulla seconda pagina, in cui vi erano sottilmente nascoste uno svariato numero di critiche, quando Aethas Sunreaver aveva annunciato la sua visita.

Era stata formulata con disinvoltura, ma ora che Lor'themar aveva sette anni di pratica circa queste faccende, era diventato abbastanza bravo da non farsi irritare da queste comunicazioni politiche.
Halduron non ne era stato impressionato. "Neanche una richiesta" aveva detto il suo vecchio amico e compagno, aggrottando le sopracciglia "Ha solamente deciso di presentarsi, uhm?"

Quello che Halduron non sapeva era che Aethas aveva, di fatto, chiesto più e più volte udienza al Signore Reggente nei mesi, ma non avendo voglia di confrontarsi con lui, Lor'themar aveva deliberatamente ignorato le sue suppliche. Più recentemente, poi, vi era stata anche una buona scusa, ma Lor'themar si sentiva ancora trasalire al pensiero dei fatti accaduti a Quel'danas. Essi e le loro conseguenze erano ancora troppo recenti.

Lasciò la pagina ricadere sul tavolo. Aethas aveva avuto un pessimo tempismo; Lor'themar aveva progettato di fare un viaggio il giorno dopo l'arrivo dell'arcimago e dubitava che si sarebbe sentito costretto a rimandare i suoi progetti originali. Questa era una mancanza di Aethas.

Lor'themar sospirò. La pergamena gli scivolò tra le dita come una volta aveva fatto il lungo e levigato legno delle frecce Farstrider. Aveva più o meno un'idea circa cosa Aethas volesse chiedere ed ancora non sapeva bene come avrebbe risposto.

Giorni dopo, Lor'themar era tra i drappeggi cremisi ed oro della corte dei Sunfury Spire.
Halduron e Rommath lo fiancheggiano su entrambi i lati. Mentre camminava, Halduron lo aveva fermato, porgendogli un piccolo fascio di morbida lana scarlatta. Prendendolo, Lor'themar l'aveva alzato, svelando una regale fenice dorata su di uno sfondo rosso. Il blasone dei Sunstrider.

"No" aveva detto seccamente, ridando lo stemma al suo amico.

"Dovresti indossarlo..." aveva insistito Halduron "Sei su il nostro leader, ora."

"Io sono il Signore Reggente." aveva risposto, proseguendo in avanti a grandi passi

"Non sono il Re."

"Può anche essere." aveva replicato successivamente Halduron "ma non c'è nessun altro che può prendere il tuo posto."

Lor'themar non si guardò indietro. La verità delle parole Halduron distrutta dai suo tacchi, taglienti ed implacabili, mentre il ranger generale lo seguiva all'interno della corte.

Per ora, ancora, Lor'themar vestiva la sua figura nel verde dei Farstrider. Un tempo, Rommath avrebbe protestato, dicendo che era sconveniente per il reggente mostrare il proprio favore verso un ramo delle dinastie Thalassian invece che ad un altro. Ma in questi giorni la lotta aveva prosciugato gran parte delle energie del Gran Magister, piccoli vortici che l'avevano lasciato vuoto. Persino in quel momento, fissava assente la sala, appoggiandosi così pesantemente sul suo bastone che Lor'themar quasi lo poteva veder tremare, come se i suoi piedi fossero su di una lastra di ghiaccio. Al di là del fatto che Rommath fosse stato spesso una spina nel fianco, Lor'themar provò solo pietà nel vedere il mago così in difficoltà. Il tradimento finale di Kael'thas aveva lasciato un Rommath freddo e sterile, più di tutti loro.

L'aria di fronte a loro brillò in un tripudio di lampi viola: il marchio inconfondibile della magia.
Un momento dopo, in un movimento vorticoso, apparve un cancello azzurro, in bilico sopra la candida ceramica del pavimento. Aethas si materializzò attraverso il portale, inciampando goffamente al primo passo, il suo manierismo inopportuno offuscare la regalità dell'incantesimo.

Si ricompose in fretta, spazzolandosi le vesti, e mentre si raddrizzava Lor'themar non potè fare a meno di notare quanto sciocco sembrasse: l'elegante vestito intessuto nel porpora del Kirin Tor si scontrava orribilmente con i suoi capelli ramati e rifiutava di coprire adeguatamente tutta la sua struttura esile, facendolo apparire come un bambino piccolo che giocava a riempire le vesti di un adulto. Lor'themar pensò brevemente a chi era appartenuta prima di lui quella veste e, rifuggendo dalla propria memoria, spinse violentemente quei pensieri fuori dalla sua mente.

"Benvenuto a casa, Arcimago Sunreaver" annunciò e si sorprese si quanto apparisse autoritario.
Aethas esibì un sorriso nervoso e sembrò ancora più assurdamente giovane di prima.

"Grazie, Signore Theron," rispose, inchinandosi con grazia. "Vorrei tanto essere tornato per rimanere."

"Certo", rispose Lor'themar, increspando il suo volto per apparire distante. "La vostra corrispondenza mi ha fatto familiarizzare con l'intento della visita. Venite: i miei consiglieri ed io ascolteremo il vostro appello."

Normalmente Lor'themar li avrebbe portati tutti nella maestosa sala delle riunioni a nord del palazzo: una camera decorata nell'azzurro del cielo e nel verde della giada, a picco sul mare. Quel giorno, però, splendeva chiara e tagliente come una scheggia di vetro ed attraverso il colonnato era visibile l'intera isola di Quel'danas. Per evitare di guardarla, Lor'themar aveva portato tutti in una rientranza ad est della corte principale, di fronte ai tetti in cotto bruciati dal sole di Silvermoon City.

Aethas iniziò senza un minimo di esitazione.

"Sono qui per questioni di estrema importanza, che ci riguardano tutti. Sono abbastanza sicuro che siate consapevoli della crescente minaccia nelle Northrend...ebbene, il Kirin Tor desidera affrontarla."

"Arthas è sempre stato una minaccia," intervenne Halduron neutro "Perché il Kirin Tor viene da noi solo adesso?"

Aethas scosse la testa. "Non è solo Arthas. Almeno, non più...adesso anche Malygos ci minaccia. Korialstrasz ci ha informato che il dragone blu ha intenzione di porre fine a tutti i mortali che fanno uso di magia. Una volta per tutte."

"E lo spell- Weaver in che modo vorrebbe concretizzare questa intenzione?" chiese Lor'themar.

"Con l'uccisione di tutti noi."

" Uhm...vedo...." rispose Lor'themar, seduto di nuovo sulla sedia. Per sette anni aveva affrontato di tutto, tra cui anche la morte stessa. Le parole di Aethas mancavano di impatto.

"Il Kirin Tor gli si oppone..." aggiunse Aethas

"Naturalmente." replicò Lor'themar.

"Io voglio formalizzare il nostro coinvolgimento con il Kirin Tor..." dichiarò Aethas con fermezza. "Molti membri del Kirin Tor non lo considerano prudente, ma indispensabile, che i maghi di Quel'Thalas e della Cittadella Viola lavorino di nuovo insieme, fianco a fianco, come hanno fatto per molti anni in passato. "

"No."

L'irritazione di Aethas splendette chiara sul suo volto, tra gli angoli della bocca e delle sopracciglia aggrottate. La voce che si era permessa di dissentire non era stata di Lor'themar. Rivolgendosi al suo interlocutore, Aethas replicò piccato: "Ho chiesto al Signore Reggente, non al Gran Magister."

Rommath rise: un suono basso, amaro, che rimase intrappolato tra i denti come un sibilo, senza allegria.
"Ebbene," rispose con voce tagliente, mentre il tono da lui usato mise sull'attenti Lor'themar. "Che il Signore Reggente si degni di dirmi se posso parlare."

"Oserei dirti che puoi, dal momento in cui devo comunque conoscere la tua opinione," replicò Lor'themar, esibendo la miglior ironia di cui era capace. "Potrebbe anche essere adesso".

Gli occhi di Rommath scintillarono, frammenti di giada lucenti che sarebbero stati capaci di oscurare persino un ambiente ben illuminato. "Oserei dire che non sbagli, Lor'themar" gracchiò lui senza mai spostare lo sguardo dal viso di Aethas. La sua voce ricordò a Theron un serpente arrotolato in mezzo all'erba: bassa e feroce, persino spietata.

"Dimmi Arcimago," iniziò Rommath, "Modera ti ha dato, prima di partire, una comunicazione ufficiale? Le tue parole grondano della sua falsa diplomazia. Almeno lei non ha il coraggio di mettere qui il piede di persona. Ha buon senso, vedo."

"Modera era d'accordo con me su questi temi, sì," rispose Aethas rigido, per fortuna abbastanza saggio da non cadere nella trappola di Rommath.

"Lei era d'accordo con te," mormorò Rommath, "o, piuttosto, tu sei d'accordo con lei? Perchè dubito che ti avrebbero mai mandato qui a parlare nel loro nome se tu non avessi avuto almeno qualche idea tua."

"Maledizione, Rommath!" Urlò spazientito Aethas. "Hai qualche critica utile oppure intendi startene qui ad insultarmi?"

"Tu sei cieco." Rispose Rommath in modo uniforme. "Hanno paura di affrontare sia Malygos che Arthas ed è giusto così. Essi cercano aiuti che abbiano capacità superiori alle loro ed a chi si sono rivolti negli anni sulle questioni magiche ed arcane? Oh sì, a noi. Gli umani del Kirin Tor giureranno che siete indispensabili per loro, che le vostre abilità inestimabili. Nel momento in cui diventerete scomodi, verrete scartati." Piegò la testa di lato, un orecchio contrarsi quasi impercettibilmente, come i suoi che, meditabondi, scivolarono prima su Halduron poi su Lor'themar. "Chiedi di loro. Loro sanno. Ma non quanto il sottoscritto."

Aethas fissava con aria assente dietro Rommath. "Quel'Thalas e Kirin Tor sono stati alleati per quasi duemila anni," disse. "Da quando abbiamo aderito formalmente all'Orda, le cose sono state un pò tese, ma..."

Rommath rise di nuovo, ad alta voce questa volta, rintocchi beffardi che rotolavano come onde furiose in un mare in tempesta: appuntite e fredde.

"Da quando ci siamo uniti all'Orda," ripeté delirante. "Oh sì, certo. E tu, Arcimago Sunreaver, ricordi esattamente perché siamo stati costretti ad un tale patto?"

Aethas non rispose, ma Rommath lo guardò dritto negli occhi, inflessibile.

"Una falsa accusa," cominciò il gran magister, "ed un tradimento monumentale." I suoi occhi brillavano di rabbia ribollente che quasi un decennio di vita non era riuscita a sedare. "Proprio a Dalaran," continuò, "sotto il sempre vigile occhio viola del Kirin Tor."

"Il Kirin Tor non aveva niente a che fare con..."

"Presumo tu voglia dire," lo interruppe Rommath, "che il Kirin Tor non ha fatto nulla. Non ha fatto nulla per impedirlo, non ha fatto nulla per fermarlo. Invece," la voce dell'elfo cominciò a salire, "ci ha lasciati a marcire nelle prigioni sotterranee di una città da noi chiamata casa esattamente come chiamiamo casa ora Silvermoon City. Una città che il nostro principe ereditario aveva servito più fedelmente della sua patria per più tempo di una vita umana. Una città in cui abbiamo combattuto e siamo morti nel nome del Kirin Tor. Una città dalle cui mura hanno guardato in silenzio come il nostro collo pendesse dalla corda di una boia.
La loro città."

"Il Kirin Tor si trova sotto una nuova leadership ora," rispose Aethas e Lor'themar poté sentire una nota di controllo nel tono del giovane arcimago.

"Questa è una menzogna e tu lo sai," rispose Rommath, "Rhonin dai capelli rossi potrà anche essere la loro figura di spicco, ma Modera ed Ansirem rimangono nel consiglio. Queste sono le stesse persone che hanno felicemente rivolto lo sguardo lontano da noi, mentre Garithos ci condannava a morte. Possono marcire tutti all'inferno." Concluse ridendo crudelmente. "Almeno Arugal ha subito il destino che meritava."

"Per qualcuno che sostiene di curarsi così poco del Kirin Tor, sembri piuttosto ben informato Gran Magister," sibilò Aethas.

"Una delle ragioni potrebbe essere che io sono il Gran Maestro di Quel'Thalas e voi no, che io sappia," replicò acido Rommath. "E come gran maestro vi dirò questo: non manderò i miei maghi in servizio nel nome della Cittadella Viola. Se desiderate il nostro supporto ufficiale nelle Northrend, Arcimago, dovrete convincere Lor'themar a depormi."

Le dita di Theron si contrassero contro la superficie del tavolo liscio, la sua bocca assunse una piega dura. Rommath aveva camminato in bilico su di un confine sottile ed ora l'aveva superato.

"Basta, Rommath," disse freddamente. "Tu non possiedi l'autorità di emettere ultimatum del genere. Sarà mia la decisione se inviare le nostre forze a Northrend, e se sceglierò in questo modo, voi invierete i vostri maghi."

"Ora," disse alzandosi in piedi, "è chiaro che tutto questo continuerà in nulla più che litigi meschini e, se volete continuare in questo modo per tutto questo tempo, non esitate. Tuttavia, non fatemi perdere tempo. Credo che anche il nostro Generale dei Ranger la pensi allo stesso modo."

"Ho degli affari da sbrigare nel sud," continuò Theron, "ed avevo intenzione di partire domani. Non credo che interromperò i miei piani. Siete formalmente invitato a rimanere, Arcimago, ma solo per un breve lasso di tempo."

Aethas non rispose, ma non era un diplomatico abbastanza esperto per mascherare con successo la sua irritazione, che traspariva sul suo volto pallido come uno squillo di tromba. Lor'themar era più che contento di lasciarlo così turbato. Si voltò per andarsene.

"Ci sono elfi che andranno comunque a Dalaran, che tu lo voglia o no," la voce di Aethas lo rincorse persino fuori dalla stanza. Lor'themar si fermò ed inclinò il viso per guardarlo. "Dammi almeno il permesso di parlare a nome della Reggenza di Silvermoon City, così che gli interessi dei Sin'dorei siano protetti."

Rommath sbuffò in risposta, ma, per fortuna, non disse nulla. Per un momento, un solo momento, Lor'themar considerò la proposta di Aethas, ma l'elfo più giovane non era nella condizione di contrattare. Tutti sapevano bene che le competenze Aethas nel campo politico erano ampiamente surclassate dagli elfi presenti nella stanza.

"Manderò un servo per mostrarti la tua stanza, Arcimago," rispose infine Lor'themar.

Aethas se ne andò abbastanza gentilmente, senza risparmiare uno o due sguardi torvi in direzione del Rommath. Il Gran Maestro appariva risoluto, implacabile come una montagna, ma Lor'themar poteva vedere il suo passo incerto, le linee di stanchezza che gli deformavano il viso e che, momentaneamente, erano al di là della vista di Aethas. Osservò con attenzione la fragilità di Rommath: la sua volontà poteva essere piegata.

Una volta, in passato, Lor'themar avrebbe chiamato ignobile prendere in considerazione anche solo l'idea ti utilizzare un simile metodo su un'altra persona. Ora, ne riconosceva la necessità.

Finalmente solo, si sedette accanto alla finestra del suo ufficio, un luogo in cui aveva trascorso più tempo che a casa sua, raccogliendo nella mente il dibattito del pomeriggio. Distrattamente, iniziò ad arrotolare un lungo lato della tenda tra le mani, fissando vacuo i giardini sottostanti e sentendo la voce determinata di Aethas nella testa. Ci sono quelli che andranno a Dalaran che tu lo voglia o no. Lor'themar non poteva negare quella la verità, ma in privato era d'accordo con il disprezzo di Rommath. Come poteva fidarsi di Aethas? Avrebbe rappresentato fedelmente Quel'Thalas anche se lui stesso si era ormai avvolto nel viola del Kirin Tor e firmava la corrispondenza con il loro timbro? Aethas si sarebbe impegnato nella guerra di Nexus, questo era chiaro. Quanti altri avrebbe convito a seguirlo? E fino a che punto si estendeva il suo dovere, come Signore Reggente, di proteggere il suo popolo quando lui stesso si era forgiato in un territorio ambiguo?

Il panno teso cominciò a sfilacciarsi sotto le attenzioni poco gentili di Lor'themar. Se solo avesse prestato più attenzione, avrebbe trovato in esso una metafora adatta per lo stato delle sue certezze di questi giorni.

"Non sono sicuro," gli aveva confessato Halduron quella sera stessa. Aveva trovato il signore reggente ancora seduto alla finestra, mentre fissava cupamente il tramonto. Un solo sguardo era bastato perché prendesse dal ripiano una bottiglia di liquore, riempendo generosamente il bicchiere per il suo vecchio amico. Ora, il generale dei Ranger sedeva di fronte a lui, arrotolando abilmente un pezzo di bloodthistle con abilità consumata.

"Credo che le sue intenzioni siano oneste," aveva continuato Halduron. Con un rapido scatto delle dita si era infine acceso il fascio d'erba di piccole dimensioni. Inalò profondamente e sospirò, allungando il braccio fino a cingersi le ginocchia e creando nell'aere una piccola nuvoletta di fumo acre. "Io non so fino a che punto possiamo fidarci delle sue intenzioni oneste, anche tra la nostra gente."

Lor'themar si alzò e andò al tavolo per riempire il bicchiere. "Ho paura che se gli diamo il potere di agire per nostro conto, potrebbe promettere o fare qualcosa che noi non vogliamo." Theron si fermò e guardò verso il soffitto scolpito. "Tuttavia, se alcuni elfi lo seguiranno a Dalaran, finirà per essere il loro capo di fatto e non mi sento meglio a sapere che agirà in questi termini senza l'autorizzazione di Silvermoon City."

"Sarebbe meglio se Rommath non fosse così testardo," riflettè Halduron. "Ha vissuto a Dalaran per molto tempo, egli stesso porta il titolo di arcimago, lo sai. Ha abbastanza esperienza con il Kirin Tor da sapere come gestirli e la sua fedeltà al paese è fuori discussione. Ci potremmo fidare di lui. Egli sarebbe il collegamento ideale con Aethas."

Lor'themar sorrise debolmente alle parole di Halduron. "Credo sia oggi sia un giorno memorabile," disse pigramente, "per sentirti parlare bene di Rommath."

"Non ho mai approvato la sua attività con M'uru, o la formazione dei Cavalieri del Sangue, no," ammise Halduron. "Ma questo è ormai alle nostre spalle e non abbiamo più ragione di dubitare di lui. Se avesse voluto tradirci, l'avrebbe già fatto quando Kael'thas...." Le parole si persero, congelandosi nella gola di Halduron. "Beh," aggiunse infine. "L'avrebbe fatto allora."

"Allora, cosa ne pensi?" Lor'themar cambiò discorso e tornò al suo posto alla finestra. "Che cosa dobbiamo fare con Aethas e la Cittadella Viola?"

"Aethas considera egli stesso un membro del Kirin Tor," rispose Halduron. "E mi viene in mente un certo numero di altre persone che sarebbero felici di portare ancora quel mantello viola. Se il Kirin Tor vuole ammettere elfi del sangue, non possiamo impedire loro di farlo."

"No, non possiamo", rispose Lor'themar. Tacque per un momento, poi continuò. "Tuttavia, il mio istinto mi dice che dovremmo evitare un coinvolgimento ufficiale nella guerra del Nexus. Aethas dovrà riferire periodicamente a noi, e noi dobbiamo dargli una chiara serie di limiti. Ma gli elfi che offriranno i loro servizi, lo faranno sotto la bandiera del Kirin Tor, non di Quel'thalas."

Un angolo della bocca Halduron si contorse in un ghigno sardonico e Lor'themar fece finta di non notare la malinconia negli occhi del suo amico. Poi, rigirandosi il mozzicone di bloodthistle tra la punta delle dita, replicò: "oserei dire che parli sempre meno come Ranger e sempre più come un Re, Lor'themar."

Dal suo posto, Halduron non potè vedere il modo in cui le dita di Lor'themar si strinsero intorno al bicchiere.


Continua...

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